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12/04/2016
Sì è appena insediato, e già secondo me pecca di eccessivo protagonismo. Il nuovo presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Piercamillo Davigo, ha cominciato subito a lanciare frecciatine contro il Governo.
Affronta il tema dell'eccessiva lunghezza dei processi, di cui molti non arrivano a sentenza. La colpa, dice lui, è della prescrizione - l'istituto giuridico per cui dopo un determinato lasso di tempo, un reato non è più persegubile.

Che la prescrizione sia da riformare è fuori di dubbio - e qui la condivisibile proposta del M5S mi pare fosse di farla decadere dopo il primo grado di giudizio - ma è anche un istituto di civiltà, e non è pensabile eliminarla (vi sembra civile tenere uno o più imputati sotto pressione in un processo interminabile, un "fine pena mai"?).

Vorrei però segnalare a Davigo che i "processi lunghi" sono spesso causati da formalismi procedurali più che dalle leggi. La mia proposta in merito, da tempo, è di riformare il comma 2 dell'Articolo 525 del Codice di Procedura Penale, un cavillo anacronistico dettato - a suo tempo - da carenze comunicative, che ormai non ha più ragione di esistere: "Alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. (...)".
In un mondo ideale, in cui i magistrati seguono solo un procedimento per volta, un principio giusto; ma siccome i giudici sono costretti ad ogni udienza a ristudiarsi tutti gli atti e i fascicoli relativi, credo sarebbe ora di liberarsi di questo ingombrante paletto.

Enea Melandri

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